È uno tra i più famosi inni che la Chiesa Ortodossa dedica alla Theotokos (Madre di Dio), e lo si canterà il prossimo 31 maggio in Cattedrale, alle ore 21.00 come conclusione solenne del mese tradizionalmente dedicato alla vergine Maria.
Un momento di preghiera presieduto dall’Arcivescovo di Fermo, S.E. Mons. Rocco Pennacchio, e accompagnato dalla Cappella Musicale della Cattedrale, diretta dal M° Annarosa Agostini e con il M° Alessandro Buffone all’organo, al quale tutta la comunità diocesana è invitata a partecipare.
L’ “Inno alla Vergine” è un inno liturgico del secolo V il cui nome non rappresenta il titolo originario, ma una rubrica liturgica: “a-kathistos” in greco significa “non-seduti”, ed infatti i presenti saranno invitati a cantarlo “stando in piedi”, come avviene quando si ascolta il Vangelo, in segno di riverente ossequio alla Madre di Dio.
La struttura metrica e sillabica dell’Akathistos si ispira alla Gerusalemme celeste descritta dal cap. 21 del libro dell’Apocalisse, da cui desume immagini e numeri: Maria è cantata come identificazione della Chiesa, quale “Sposa” senza sposo terreno, Sposa vergine dell’Agnello, in tutto il suo splendore e la sua perfezione.
L’inno è composto da 24 stanze (in greco: oikoi), tante quante sono le lettere dell’alfabeto greco con le quali progressivamente ogni stanza comincia, ed è progettato in due parti distinte, su due piani congiunti e sovrapposti – quello della storia e quello della fede -, e con due prospettive intrecciate e complementari – una cristologica, l’altra ecclesiale -, nelle quali è calato e s’illumina il mistero della Madre di Dio.
Un’occasione di preghiera sicuramente emozionante e denso di fede con il quale concludere al meglio il mese di maggio, dedicato alla Vergine Maria. Alla liturgia è invitata a partecipare tutta la comunità diocesana, in modo particolare le associazioni ed i movimenti che si ispirano a Maria. Mercoledì 31 maggio, ore 21.00, Cattedrale di Fermo.
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Maggiori informazioni sull’ AKATHISTOS (dal sito www.maranatha.it)
La prima parte dell’Akathistos (stanze 1-12) segue il ciclo del Natale, ispirato ai Vangeli dell’Infanzia (Lc 1-2; Mt 1-2). Essa propone e canta il mistero dell’incarnazione (stanze 1-4), l’effusione della grazia su Elisabetta e Giovanni (stanza 5), la rivelazione a Giuseppe (stanza 6), l’adorazione dei pastori (stanza 7), l’arrivo e l’adorazione dei magi (stanze 8-10), la fuga in Egitto (stanza 11), l’incontro con Simeone (stanza 12): eventi che superano il dato storico e diventano lettura simbolica della grazia che si effonde, della creatura che l’accoglie, dei pastori che annunciano il Vangelo, dei lontani che giungono alla fede, del popolo di Dio che uscendo dal fonte battesimale percorre il suo luminoso cammino verso a Terra promessa e giunge alla conoscenza profonda del Cristo.
La seconda parte (stanze 13-24) propone e canta ciò che la Chiesa al tempo di Efeso e di Calcedonia professava di Maria, nel mistero del Figlio Salvatore e della Chiesa dei salvati. Maria è la Nuova Eva, vergine di corpo e di spirito, che col Frutto del suo grembo riconduce i mortali al paradiso perduto (stanza 13); è la Madre di Dio, che diventando sede e trono dell’Infinito, apre le porte del cielo e vi introduce gli uomini (stanza 15); è la Vergine partoriente, che richiama la mente umana a chinarsi davanti al mistero di un parto divino e ad illuminarsi di fede (stanza 17); è la Sempre-vergine, inizio della verginità della Chiesa consacrata a Cristo, sua perenne custode e amorosa tutela (stanza 19); è la Madre dei Sacramenti pasquali, che purificano e divinizzano l’uomo e lo nutrono del Cibo celeste (stanza 21); è l’Arca Santa e il Tempio vivente di Dio, che precede e protegge il peregrinare della Chiesa e dei fedeli verso l’ultima Pasqua (stanza 23); è l’Avvocata di misericordia nell’ultimo giorno (stanza 24).
Circa l’Autore, quasi tutta la tradizione manoscritta trasmette anonimo l’inno Akathistos.
La versione latina redatta dal Vescovo Cristoforo di Venezia intorno all’anno 800, che tanto influsso esercitò sulla pietà del medioevo occidentale, porta il nome di Germano di Costantinopoli (733). Oggi però la critica scientifica propende ad attribuirne la composizione ad uno dei Padri di Calcedonia: in tal modo, questo testo venerando sarebbe il frutto maturo della tradizione più antica della Chiesa ancora indivisa delle origini, degno di essere assunto e cantato da tutte le Chiese e comunità ecclesiali.